Era già giornata delle donne, questo martedì dei Giochi. Delle donne azzurre: un argento e due bronzi per la contabilità da medagliere che appassiona anche in questi giorni. Ma anche le lacrime di Federica Pellegrini, la sicurezza adulta di Vanessa Ferrari, la leggerezza della Nazionale di Pallavolo. Poi sono arrivate, come un macigno, nella stessa giornata in cui l'ultima tedofora, Naomi Osaka, la tennista che a un certo momento ha detto di non sopportare più il suo ruolo, in tutte le declinazioni pubbliche, le parole di Simone Biles, uno dei manifesti più sicuri, alla vigilia, di queste Olimpiadi difficili. "Sento il peso del mondo sulle spalle. Devo concentrarmi sulla mia salute mentale"ha detto, con tanti saluti a quelli che adesso si preoccupano solo della sua corsa ai record interrotta in modo tanto plateale.

Le lacrime di Federica

Le Olimpiadi sono belle per questo, mi vien da dire. Perchè sono autentiche, in un senso e nell'altro il meglio di noi. La mattinata era cominciata, a Tokyo, con le le lacrime di Federica Pellegrini. Arrivata in semifinale col penultimo tempo, si è qualificata per la sua finale, sua perchè nei 200 stile ai Giochi ci abita da Atene 2004. Diciassette anni, facile fare i conti, sono una vita: una vita di allenamenti, di gare, di scelte, e di non scelte e queste sono persino più pesanti delle rinunce perchè proprio non te le puoi permettere. Dopo Atene, la sua Epifania, e dopo Pechino, la sua affermazione definitiva, la Pellegrini non è più saliuta su un podio olimpico ma non è mai scesa dal trono del nuoto. E'diventata, con successo, anche altro, ma appunto doveva liberarsi di quell'anche. E stamattina ha pianto perchè quell'anche è un ultimo appuntamento in finale, l'appuntamento finale con il muoto. Sarebbe bello, e giusto, e Olimpico, se domani il protocollo Cio fosse un po'meno rigido e più rispettoso di chi gli dedica lacrime sincere chiedendo un applauso alle altre, alla piscina che tra tecnici e atleti, comunque la sua vita, è piena di gente. Sarebbe bello e giusto: staremo a vedere.

I tatuaggi di Vanessa

Sulla nuca Vanessa Ferrari ha quattro tatuaggi piccoli, non i dipinti della Pellegrini. Ci sono i cinque cerchi e sotto il logo di ognuna delle Olimpiadi a cui ha partecipato: Pechino, Londra, Rio. C'è da immaginare che tornata a casa si tatuerà anche Tokyo. I suoi 13 anni ai Giochi non sono più corti dei 17 di Federica, anzi nel conti della ginnastica pesano forse pure di più, avendo ormai Vanessa quasi 31 anni, e un albo d'oro meno ricco solo per qualche dispetto della giuria e per una robista dose di sfiga, avversari che lei continua a sfidare. Ed è questo il bello di Vanessa, il suo esserci. Ieri, se ho visto bene, prima della presentazione al corpo libero, una giapponese è uscita dalla formazione per salutarla come si salute uno di famiglia, voleva proprio dirle ciao, come per dirle grazie Vanessa, io sono qui anche grazie a te. Con te partirò è la colonna sonora dell'esercizio al corpo libero della Ferrari, una canzone che tante ragazze, sospese magari tra la venerazione per le farfalle e la consapevolezza che ci sono anche le fate, sicuramente interpretano pensando a lei.

La casa di Maria

Parlerò un'altra volta, promesso, di Giorgia Bordignon, oltre tutto per me ogni atleta che ha per presidente Antonio Urso è una persona speciale, e delle ragazze della spada, argento la prima, bronzo le ...seconde. Mi concentro qui su quel che ha detto Maria Centracchio dopo aver vinto il bronzo nel judo categoria 63kg. E aveva già vinto mononucleosi e positività al Covid. Non sono state dichiarazioni banali, tutt'altro: "Ho sempre detto: il difficile è arrivare alle Olimpiadi, poi me la vedo io. Sono la prima molisana a prendere una medaglia ai Giochi". Significa saper pesare il risultato, indicarlo come il frutto di un metodo agli altri, significa essere andati lontano in realtà restando a casa dove proprio perchè sanno chi sei sono ubriachi di felicità. E'stata la giornata delle donne azzurre ai Giochi oggi: non la prima, di sicuro non l'ultima.

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